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L’opera d’arte totale di
Vittorio Rainieri,
costruttore di forme e
dispensatore di emozioni
Il
bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi non è un anniversario
riducibile a semplice ricorrenza, una fra le tante che celebriamo ogni
anno in Italia. L’Italia deve molto al maestro di Busseto. Verdi le
ha dato prestigio continuando la tradizione della grande musica,
tenendola così collegata, almeno in tal settore, alla grande
cultura europea in un momento in cui, immemore dei fasti del passato,
il Bel Paese non godeva certo d’immenso prestigio e non splendeva di
grande fulgore.
Ma
non solo per ciò: Verdi ha incarnato lo spirito del Risorgimento,
l’anelito alla libertà intesa come valore primario e assoluto. La
libertà politica ed economica fu per lui un valore equivalente alla
libertà dello spirito,
dell’affermazione della coscienza individuale. Il suo nome, prestato
agli slogan del patriottismo (Viva V.E.R.D.I.) evocava altresì il
rispetto e la venerazione di cui sono oggetto tutti i grandi della
storia.
In
ogni italiano, senza eccezione alcuna, lo spirito verdiano, rivelatore
di sentimenti alti, è indice di profondo orgoglio, e ispira un senso
di appartenenza a qualcosa che sconfina al di là del contingente o
dell’estemporaneo. Possiamo immaginarci come tali sentimenti possano
amplificarsi in tutte quelle persone che con Verdi condividono i
luoghi, la lingua locale, i sapori e gli odori di quella terra che ha
come punto di riferimento la bellissima città di Parma.
A Parma è nato
infatti Vittorio Rainieri, artista d’ottima caratura espressiva, che
non ha voluto rimanere insensibile alla ricorrenza verdiana e che,
dunque, già dal 2009, ha iniziato a prepararsi su questo terreno
specifico per omaggiare al meglio il grande maestro di Busseto con una
iniziativa che non potrà non lasciare un suo particolare segno. Di
cosa si tratta? Procediamo con ordine.
Forse
non tutti sanno (ma i parmensi si) che nella città natale di Vittorio
Ranieri esisteva una maestosa architettura, eretta nel piazzale
antistante la stazione, per ricordare Giuseppe Verdi. Questo
monumento, progettato dall’architetto Lamberto Cusani e dallo
scultore Ettore Ximenes, consisteva in un arco di trionfo incastonato
fra due ali di un grande peristilio semicircolare. Al centro stava
un’ampia ara in granito (oggi risistemata in Pilotta) che esibiva un
grande bassorilievo in bronzo raffigurante scene della vita di Verdi e
altre ispirate alle sue opere.
Il
monumento a Giuseppe Verdi, inaugurato nel 1913, rimase danneggiato
nel 1944 da un bombardamento. Non era in condizioni di irrecuperabilità
ma il Comune, con in mente ben altri progetti (sicuramente più
remunerativi), sciaguratamente lo fece demolire. Rimangono come
testimonianza della bella architettura eclettica solo nove delle
ventotto statue in cemento che raffiguravano simbolicamente i ventisei
melodrammi verdiani più la Messa da Requiem e l’Inno alla Guerra.
Vittorio Rainieri,
dopo attente ricerche e documentazioni sul monumento scomparso, decide
di impostare il suo omaggio di riconoscenza a Verdi cercando di far
rivivere simbolicamente, coi mezzi della pittura (ma non solo),
l’antico manufatto, con tutto il suo significato culturale e
storico, estrapolando dalle partiture musicali e sceniche gli elementi
più rappresentativi di tutto ciò che collega le arti visive alla
musica.
Ciò
comporta un’attenzione e una sensibilità del tutto particolari,
anche se a Rainieri non è dovuto sfuggirgli il legame di parentela
strettissimo che lega indissolubilmente le due discipline espressive.
Altrimenti perché arti visive (soprattutto la pittura) e musica
condividerebbero lo stesso lessico? Per entrambe le arti si parla di
armonia, di timbri, di scale cromatiche, di ritmo, di composizione, di
accordi, di spazio e tempo, di improvvisazione, di colori (o suoni)
squillanti, di suoni (o colori) chiari e scuri, e via discorrendo. Sarà
forse un caso? Per artisti del calibro di Seurat, Delaunay, Klee e
Kandinskij, no. Per musicisti come Alexandr Scriabin, Wladimir
Boronoff-Rossiné, Arnold Shönberg e tantissimi altri neppure.
Con
tali convinzioni e con la coscienza dei propri mezzi, Rainieri inizia
la sua dedica a Verdi realizzando delle opere in tutto corrispondenti
alle statue contenute nel monumento verdiano dispiegando la sua salda
poetica pittorica e considerando il soggetto obbligato non un elemento
di limitazione creativa, bensì un cimento con cui raggiungere i più
alti esiti creativi pur attenendosi fedelmente ai preesistenti
caratteri dei personaggi.
L’artista
nel raccontarli non tralascia niente e così, piuttosto che personaggi
imbalsamati dal tempo e dalla storia, balzano dalle grandi tele
(ciascuna misura156 x 106 cm.) in tutta la loro vitalità e in tutta
la loro spavalda realtà quasi, nonostante i loro costumi
anacronistici, come se si trattasse di personaggi del nostro tempo.
Nessun
sentimento attribuito a loro viene dimenticato o, semplicemente,
trascurato; tutti rivivono i loro ruoli con fedeltà storica. La cosa
più interessante è però il fatto che Rainieri non utilizza il
metodo pedante del verismo descrizionista ma quello, di gran lunga più
efficace e poetico, dell’affioramento evocativo, supportato talora
da appropriate simbologie di cui il ciclo di opere complessivamente
abbonda. I loro complessi problemi, i loro profondi turbamenti, gli
affanni, i tormenti e le gioie appaiono con l’universalità che è
propria a tutti i grandi temi umani.
Fra i tanti simboli
che potremmo andare ad evidenziare ve n’è uno, in particolare, di
somma efficacia. Mi sto riferendo alla luce che non è atmosferica e
impressionistica ma, piuttosto, di natura concettuale.
La
luce di Rainieri ha una vocazione teatrale ma non è concepita,
semplicemente, per far meglio risaltare i personaggi nel loro
ambiente. E’ una luce che balena a guizzi fulminei con staffilate
chirurgiche, che attraversa come lame taglienti lo spazio scenico, e
che scandiscono un tempo metafisico, immobile, non convenzionale, che
non fluisce, e uno spazio che si destruttura e si ricompone secondo
leggi che non sono quelli della natura, ma quelli della mente e delle
emozioni.
Si,
la luce che Rainieri porta in scena ha una natura emozionale; essa
svela il turbinare delle
pulsioni e i sentimenti più intimi dei personaggi che pian piano
prendono forma e si concretizzano nelle apparenze essenziali della
verità sensibile. E una luce, infine che crea geometrie
caleidoscopiche che appaga un bisogno di ordine e di chiarezza teorica
mentre evoca efficacemente anche la luce dello spazio scenico
distribuita e diffusa dai riflettori. E’ in tal modo che i
personaggi verdiani di Rainieri diventano immortali. Immortali perché
fuori dal tempo. Fuori dal tempo perché eterni.
Tanto
tempo fa il grande Richard Wagner componeva il suo "Wort-ton-drama"
(dramma teatrale di parole e suoni) che aspirava a un'arte globale in
cui musica, parola, azione, scena, luci e colori, costituissero
un'unità inscindibile. Egli pensava all’opera d’arte come ad un
evento totale, qualcosa che superasse i generi artistici e anteponesse
a tutto il risultato d’espressione al di là delle singole
discipline che compongono l’immenso universo della creazione
artistica.
Anche
Rainieri pensa in grande. Questo evento dedicato a Verdi è un insieme
di pittura, scenografia, musica e, per intensificarne il dato
sensoriale, anche di gastronomia, di sapori e odori tipici dei luoghi
di provenienza. E’ un evento che mira alla sintesi delle arti ma
anche a risultati di armonia e bellezza, valori variabili nel tempo e
nello spazio ma a carattere universale.
L’arte
di Rainieri è fondata, oltre che sul parallelismo con la musica,
soprattutto sull’assioma che essa debba essere compresa da tutti.
Emozioni, vibrazioni e suoni devono assumere forme “solide”,
tangibili. Trattandosi di un’opera frammentaria in quanto suddivisa
in ben ventisette reparti (come in un ciclo rinascimentale), il
risultato non poteva certamente dirsi scontato. Eppure l’artista ha
saputo tenere saldamente in mano il filo della continuità stilistica
e formale, della univocità e coerenza espressiva dei vari temi,
spesso, per caratteri e temporalità, molto distanti fra loro.
“Lo
spirito verdiano” di Rainieri è una di quelle opere insidiose che
potrebbe presentare, per la sua complessità, falle di natura
espressiva, contenutistica e comunicazionale; invece consacra
l’artista come un grande narratore visivo; un vero regista di
immagini, di forme e di emozioni.
Franco
Migliaccio
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Le
Opere di Verdi hanno segnato la storia della musica e dell'opera
di
Manon Lefevre.
Le
Opere di Verdi hanno segnato la storia della musica e dell'opera,
dunque era inevitabile che si ispirava a numerose persone. Un artista
italiano del ventunesimo secolo dal nome di Vittorio Rainieri decide
di rendere omaggio a questo compositore romantico italiano. Secondo
lui, Verdi aveva un messaggio forte da trasmettere nelle sue opere.
Così attraverso le 27 opere ha saputo fare provare la poesia del
grande uomo. Il suo stile è caratterizzato da forme geometriche, uno
stile esoterico dai colori vivi.
Ogni elemento che compone le sue opere rispettano la musica di
Verdi. Sceglie il momento chiave di ogni opera estrapolandone l'anima.
Le sue pitture non rappresentano un momento statico, ma rappresentano
lo spirito del momento. Attraverso il suo lavoro, Rainieri arriva a
farci percepire le emozioni come Verdi arriva a farcele provare con la
sua musica.
Les
œuvres de Verdi ont marqués l’histoire de la musique et de
l’opéra, il était donc inévitable qu’il inspire de nombreuses
personnes. Un artiste italien du 21ème siècle du nom
de Vittorio Rainieri décide de rendre hommage à ce
compositeur romantique italien. Selon lui, Verdi avait un message fort
à transmettre dans ses opéras. Ainsi à travers 27 œuvres
il a su faire ressentir la poésie
du grand homme. Son style est caractérisé par des formes
géométriques, un style ésotérique et des couleurs vives. Chaques
éléments qui composent ses œuvres respectent la musique de Verdi.
Il choisit un moment clefs
de chaque opéra qu’il extrapole. Ses peintures ne représentent pas
un moment statique, elles représentent l’esprit du moment. A
travers ses œuvres, Rainieri arrive à nous faire percevoir les
émotions que Verdi arrive à nous faire ressentir via sa musique.
de
Manon Lefevre.
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DEDICA
AL MAESTRO GIUSEPPE VERDI
di
Giulia
Alaibac
IL
22 febbraio 1920 viene inaugurato il Monumento a Verdi, ideato
dall’architetto
Lamberto Cusani in collaborazione con lo scultore
Ettore Ximenes; i lavori, iniziati nel 1913 (Centenario della nascita
di Giuseppe Verdi), Grazie ai reperti fotografici dell’epoca
possiamo farci un’idea di come si presentasse l’opera
commemorativa; la maestosa architettura dominava il piazzale
antistante la stazione ferroviaria di Parma e consisteva in un doppio
porticato semicircolare contenente 28 statue raffiguranti le più note
opere di Verdi, ovvero i 26 melodrammi più la Messa da Requiem e
l’Inno alla guerra. Al centro dell’emiciclo era collocata un’ara
in granito con bassorilievi in bronzo, oggi situata in Pilotta.Nel
1944, a seguito dei bombardamenti sulla città, il Monumento rimase
danneggiato; sebbene recuperabile, il governo cittadino ne stabilì la
demolizione definitiva, che avvenne nel maggio del 1945. Delle 28
statue soltanto 9 salvate dall'oblio, sono ora custodite nel piccolo
Teatro Arena del Sole a Roccabianca, le altre purtroppo furono gettate
miseramente nelle acque del torrente Parma.
E’ proprio da qui che scaturisce l’idea del pittore Vittorio
Rainieri; il progetto Dedica al Maestro Giuseppe Verdi, infatti, si
fonda sul tentativo, indubbiamente riuscito, di rivisitare in forma
pittorica l’opera architettonica e scultorea di Cusani e dello
Ximenes; un lavoro impegnativo e profondamente sentito iniziato nel
2009 e oggi, in occasione del bicentenario dalla nascita del maestro
di Busseto, finalmente concluso.
L’originalità del progetto risiede inoltre nel fatto che
l’artista Rainieri ha concepito le sue esposizioni come un evento
per così dire totale, un’occasione per ricordare Verdi accostando
all’arte pittorica anche l’esecuzione di brani musicali dal vivo e
degustazioni di alcuni prodotti tipici provenienti dalle terre così
tanto amate da Verdi.
Le 27 tavole di notevoli dimensioni (156x106) cm, riunite in questo
catalogo sono realizzate con tecnica pittorica mista ed illustrano le
seguenti opere di Giuseppe Verdi:
Oberto
Conte di San Bonifacio; Un
giorno di regno; Nabucco; I Lombardi alla prima
crociata; Ernani; I due Foscari; Giovanna
D’Arco; Alzira; Attila; Macbeth;
I masnadieri; Il corsaro; La
battaglia di Legnano; Luisa
Miller; Stiffelio; Rigoletto; Il
trovatore; La traviata; I vespri
siciliani; Simon Boccanegra;
Un ballo in maschera; La
forza del destino; Don
Carlos; Aida; Messa da Requiem; Otello;
Falstaff.
Prima di giungere
all’osservazione e alla descrizione specifica di ogni singola opera
occorre precisare alcuni concetti che risultano fondamentali per
comprendere la personale visione
dell’arte del pittore.
Per Rainieri è fondamentale che l’arte risulti comprensibile a
tutti e, prima di ogni altra cosa, che l’opera artistica trasmetta
emozioni. Il compito principale dell’artista, di un pittore così
come di un compositore o di un musicista, è di fare in modo che
l’invisibile diventi visibile, rendendo così percepibili e
tangibili emozioni e stati d’animo. L’artista infatti, uomo di
estrema sensibilità, vive su di sé sentimenti contrastanti come il
bene e il male, la speranza e la sofferenza, ed è proprio dal'alchimia
di quest’esperienze dirette che ha origine la creazione artistica.
I protagonisti di queste 27 tele sembrano rivolgersi direttamente
all’osservatore; il dolore, la rabbia, il dubbio e la sconfitta
trapelano attraverso i loro gesti e le loro espressioni. Ogni
personaggio è emblematico dell’opera musicale che rappresenta ed è
delineato in modo estremamente dettagliato; è interessante notare
come questa medesima forte caratterizzazione dei personaggi
contraddistingua anche le opere di Verdi.
L’elemento che colpisce e al contempo rapisce immediatamente
l’occhio di chi guarda è il colore, frammentato e vivificato dalla
luce. Le figure appaiono vive, quasi in movimento e, più di ogni
altra cosa, parlanti; i fasci di luce che le investono ne
intensificano i colori, creando nuove forme e geometrie
caleidoscopiche. E’ importante notare che le luci, le ombre e di
conseguenza le tonalità di questi quadri mutano con il variare
dell’illuminazione esterna ed è proprio per questo motivo, dunque,
che risulta fondamentale definire la disposizione e l’esposizione
alla luce delle opere nei diversi ambienti in cui esse sono esposte.
Patriota e convinto sostenitore dei moti risorgimentali Verdi
percepiva l’esigenza di la libertà dagli austriaci come una più
generale esigenza di libertà assoluta, come libertà di espressione,
fondamentale per ogni artista, oltre che per ogni uomo. La tematica
politica, più o meno celata, è quasi sempre presente nelle sue
creazioni; Rainieri ricorda le parole del direttore d’orchestra
Riccardo Muti: “Giuseppe Verdi è l’Italia. Lui siamo noi. Ma
Verdi non era un ateo. Era un mangiapreti, che è cosa ben diversa. E
dietro le sue musiche c’era un mondo trascendentale”. E’ proprio
il Verdi più esoterico e sibillino che il pittore vuole presentare,
basta infatti osservare con attenzione le 27 opere qui raccolte per
riuscire a cogliere l’universo di simboli che si cela dietro ad
ognuna di esse.
Dot.
Giulia Alaibac
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Vittorio
Rainieri:
"
Dedica
al
maestro
Giuseppe
Verdi"
di
B.Vincenzi
Il
percorso
e
la
genialità
di
Vittorio
Rainieri,
artista
parmense,
è
quella
di
essere
animo
inquieto
che
insegue
di
continuo
nuove
forme
rivelatrici,
verità
nascoste,
attingendo
sempre
a
rinnovate
fonti
culturali
e
storiche
ispiratrici
e
rivelatrici.
Artista
colto,
nelle
sue
rappresentazioni
indaga
il
Cosmo
simbolico,
deducendone
verità,
interrogativi,
paradossi,
che
ferma
come
istanti,
frame
che
passano
attraverso
il
filtro
della
mente
per
poi
essere
rimandati
alla
pittura
Lunghi
anni
di
elaborazioni
lo
conducono
verso
molteplici
esperienze
e
temi
affrontati:
corpo
e
spirito
prendono
forma
nel
progetto
Dedica
al
Maestro
Giuseppe
Verdi.
Omaggio,
che
nasce
nel
2009
dalla
volontà
dell'artista
di
recuperare
e
far
rivivere
in
forma
pittorica,
quello
nel
1920
veniva
inaugurato
come
il
monumento
dedicato
a
Giuseppe
Verdi.
Eretto
nel
piazzale
della
stazione
nell'area
dell'ex
foro
Boario,
su
progetto
dell'architetto
Lamberto
Cusani,
comprendeva
ventotto
statue,
ideate
dal
palermitano
Ettore
Ximenes,
personificazioni
simboliche
delle
opere
verdiane.
Danneggiato
dai
bombardamenti
del
1944,
venne
abbattuto
nell'immediato
dopoguerra,
lasciando
ai
posteri
solo
qualche
vecchio
documento
a
testimonianza
della
sua
esistenza.
Nove
statue
sono
sopravvissute
alla
distruzione
e
sono
a
tutt'oggi
collocate
lungo
le
pareti
del
Teatro
Arena
del
Sole
di
Roccabianca
(Pr).
Rivederne
la
sontuosità
ora
diventa
possibile
grazie
alle
immagini
realizzate
da
Vittorio
Rainieri,
che
con
grande
sapienza
tecnica,
frutto
di
una
attenta
ricerca,
ha
saputo
estrapolare
dalle
varie
partiture
sceniche
verdiane
e
dal
monumento
distrutto,
un
assetto
scenografico-pittorico
che
lega
fra
loro
musica,
pittura
e
scultura.
Il
suo
proposito
prende
forma
con
le
prime
dieci
opere
realizzate:
Il
Nabucco,
I
Lombardi
alle
prime
crociate,
Giovanna
d'Arco,
Il
Rigoletto,
La
Traviata,
L'Aida,
Ballo
in
maschera,
La
Forza
del
Destino,
Don
Carlos,
Falstaff,
per
terminare
con
le
ultime
17
opere
nel
2013,
data
del
bicentenario
della
morte
del
Maestro
di
Busseto.
Nelle
opere
ci
appare
evidente
una
certa
maestosità,
in
una
pittura
che
si
lega
alla
scultura,
e
dove
all'interno
di
un
perfetto
assetto
scenico,
di
volta
in
volta
i
diversi
personaggi
raccontati
da
Verdi,
rivivono
i
ruoli.
Il
dolore,
la
sconfitta,
il
tradimento,
la
burla,
vengono
immortalate
dall'artista,
che
non
vuole
raccontare,
ma
raggiungere
il
cuore
ed
i
sentimenti
espressi
nei
drammi
verdiani.
Il
paradosso
tra
burla
e
tragicità,
viene
fermato
nel
Rigoletto,
buffone
di
corte,
durante
l'avvenuta
maledizione
di
Monterone,
rivale
del
Duca
di
Mantova.
Il
gioco
prospettico
sullo
sfondo
di
una
Mantova
ostile,
lontana,
la
maschera
tragico-malinconica
del
Giullare,
rappresenta
lo
stato
mentale
del
buffone
che
per
contrasto
è
distrutto
dal
dolore,
in
una
rappresentazione
lirica
che
arriva
al
cuore
emozionando.
La
principessa
Etiope
Aida,
divisa
fra
l'amore
per
il
padre
e
la
Patria
e
l'amore
per
Radames
comandante
del
Faraone
d'Egitto,
viene
sorpresa
mentre
rassegnata
per
la
punizione
inflitta
all'amato,
condannato
ad
essere
sepolto
vivo,
si
accinge
a
raggiungerlo
nel
sepolcro
per
morire
assieme
a
lui.
La
forza
espressiva
degli
spartiti
verdiani,
che
portano
in
loro
messaggi
profondi
e
criptici,
affrontando
i
grandi
temi
dell'Umanità,
vengono
recepiti
dall'artista
parmense
e,
rinnovati
attraverso
le
immagini,
che
in
un
istante
arrivano
a
cogliere
l'attimo
cruciale
attraverso
una
comunicazione
evocativa.
Improvvise
planimetrie
vengono
avvolte
da
lame
di
luce
oblique,
in
un
ritmo
di
luce
e
colore
che
indaga
spiritualmente
la
tela,
immergendola
in
una
luce
sublime.
Forti
ci
appaiono
i
giochi
di
luce
che,
come
in
uno
spettro
solare,
rimabalzano
a
raggiera,
dividono
le
immagini
in
colori
cristallizzati,
rendendo
la
rappresentazione
mutevole
allo
scorrere
delle
ore
e
variazioni
di
tempo.
Le
forme
sinuose
vengono
pietrificate
e
rese
immortali,
nella
luce
che
le
scandaglia
geometrizzando
le
forme,
sottolineandone
gli
aspetti
più
arcani,
esoterici,
simbolici,
cercando
la
verità
e
l'essenza.
Grande
attenzione
inoltre
presta
al
costume,
all'espressione,
alla
teologia
mistica
e
laica.
Nella
sua
ricerca
introspettiva,
fissa
così
in
ogni
rappresentazione
tutti
i
drammi
ed
i
sentimenti
intimi
dei
protagonisti,
l'attimo
fuggente,
lasciando
ampio
spazio
ad
un
rinnovato
coinvolgimento
dello
spettatore,
che
come
a
teatro
subisce
un
turbamento
interiore
e
viene
travolto
dalla
maestosità,
in
un
turbinio
di
emozioni
incessanti.
Dunque
Vittorio
Rainieri,
compie
una
duplice
indagine
sugli
spartiti
del
Maestro
Verdi:
ne
coglie
appieno
ciò
che
fu
la
sua
personalità
ed
insieme
il
suo
operato,
in
un
risultato
di
bellezza
e
sintesi,
profondità
ed
armonia.
dot.
Barbara
Vincenzi
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TRASFIGURAZIONI:
LA PITTURA DI
V. RAINIERI
FRA REALTÀ E IMMAGINAZIONE di Simone
Fappanni - VIDEO
-
V.Rainieri e
la modernità figurativa: un’immagine o meglio un confronto
che rende l’artista il vero e proprio artefice del proprio cercare,
nella e sulla superficie del supporto, l’amalgama coloristica che genera
il riverbero, la presenza, l’espressione metabolica, germinativa, del
soggetto. E in questo suo scavare Rainieri affonda lo sguardo nella profondità
assoluta della scomposizione; balza senza timore all’interno dello
spazio rappresentativo per farne il palcoscenico delle sue figure
ammantate (ammaliate?) di luce. Luce riflessa -
estroflessa - flessuosa, cardine e azimut di una parabola mentale che
travolge e sonda atmosfere che tracciano particolari sensazioni ed
emozioni. Vittorio, lo si nota già ad una prima, sommaria osservazione dei suoi
lavori, inizia dal segno e da esso costruisce forme che ingigantiscono e
si fanno presenze, battiti che ritmicamente scandiscono i passi di un
racconto, di un istante ripetuto e fermato per sempre sulla tela. E quando si aprono queste geometrie di
luce, volti e immagini di cose si affacciano entro le sue improvvise
planimetrie, giocate amabilmente su contrappunti antinomici, allora si afferma con grande vigore
quel protendersi del soggetto
oltre i confini del fantastico - surreali che
nella sfera onirica percorrono tracciati in cui la materia è sostanza
vacillante, visione. Già dalle
prime prove Rainieri ha dimostrato di sapere affrontare il discorso
figurativo attraverso un’essenzialità meta-narrativa di chiara impronta
ideativa, maturando progressivamente un triangolismo espressivo -
secondo l’antico adagio per cui il triangolo è sinonimo di aspirazione
al perfetto equilibrio - che alla mera fisicità oppone la
scansione pura planimetrica, accordandosi con declinazioni timbriche
muovono dall’interiorità. Ciò si nota, in particolare, nei lavori dove
la postura non è mai plastica, ma si fa sempre in divenire, verrebbe da
definirla “in lieve moto”. E questo insistere del pittore sul dettaglio
posturale, rimanda
irresistibilmente a una suddivisione articolata dei volumi, entro cui
Rainieri si muove attingendo a piene mani da quell’incessante indole
sperimentale che ci sembra l’elemento distintivo di questo originale
autore. Come pure davvero singolari e riuscite
sono le lame di luce che filtrano da fonti spesso immateriali e che
sondano nel profondo la morbidezza dell’incarnato dei suoi volti, il
panneggio degli indumenti e i vertici degli oggetti che popolano i suoi
interni, veri e propri pertugi dove l’artista racconta - e si racconta -
in un silenzioso protendersi verso una realtà mai tradita o travisata.
Tutto quanto, piuttosto, appare e scompare come nella mente delle sue
modelle, imprimendosi nella memoria come a voler tentare di confermare la
ricchezza, ma pure il limite, umanissimo, dell’oggettualità
materica, eppure sognandone la non degenerazione. Ecco allora che il
quotidiano da prevedibile diventa imprevedibile, in un piacevole divertissement
di accostamenti che rendono il dipingere di Vittorio una vera e propria fonte di riflessione.
La medesima impressione si ha quando si guarda alle tante nature morte che
egli esegue con il medesimo procedimento trasfigurativo, poggiando
su intuizioni neocubiste ma anche e soprattutto su un’idea a lui ben
chiara e spesso ripetuta nei nostri dialoghi: “i miei colori cambiano ad
ogni ora del giorno”. E tutto questo è la semplice verità: le sue tinte riversano una luce
intensa e calda che potrebbe essere paragonata, molto probabilmente, a un
dolcissimo e avvolgente fascio luminoso.
Vittorio è dunque uno di quegli
artisti ai quali lo “stupore” per il certo e il probabile risulta
congeniale, anzi linfa su cui confrontarsi continuamente nella ricerca,
mai esausta, sul dettaglio, sul segmento compositivo che genera la mistura
del colore e penetra docilmente nelle maglie di un ordito rappresentativo
ordinato e plastico. Ed è proprio in questo che sta la modernità del nostro pittore, nel suo
volgersi senza timore al nuovo credendo profondamente in se stesso in
quanto artista sempre pronto al nuovo.
Dott.
Simone Fappanni (studioso d’arte
) |
|
Un
continuo approccio a nuove tecniche. di
Licinio Dott. Boarini
Pubblicato
dalla Enciclopedia d'Arte Biennale
anno 1984 - 85
V.Rainieri
Ha cominciato ad interessarsi alle arti figurative da giovanissimo con
particolare attenzione alla grafica, conseguendo fin da subito ampi
consensi; in seguito ha iniziato ad interessarsi al paesaggio ed alla
figura con un continuo approccio a nuove tecniche. Presente a numerose
occasioni artistiche ha conseguito sempre riconoscimenti e premi tra i
primi classificati. Sue opere sono presenti presso numerose collezioni
private ed enti pubblici.
<< Le ascendenze
figurali di Vittorio Rainieri pescano molto al largo le loro prime
incidenze espressive: sono stati infatti sollecitazioni quasi
parapsicologiche ad influenzare la sua disponibilità grafica con immagini
captate in questo imprevedibile cosmo emblematico e, dai primi approcci
all' arrivo del colore, è stato un rapido susseguirsi di immagini, a
volte geometrizzate, vorticanti in ambiente di misteriose anche se ben
precisate connotazioni dense di arcani significati. Passare da simile
stallo descrittivo alle composizioni naturalistiche e al paesaggio, il
passo anche se tormentato agli inizi, è stato rapido e preciso; visioni
dei luoghi, atmosfere vaporose della Padania, racimoli panoranici della
Bassa hanno cominciato a popolare la tavolozza del Rainieri sempre più
vivida a suggestiva nel rimarco, nelle pungenze emergenti da quei pingui
esterni ubertosi e densi di fermenti e di nebbia! >>
( C. d. A. Licinio Dott. Boarini 1984 ) |
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Gustare
la visione di un Arte oltre l’Arte.
di
U. Zappavigna
Pubblicato
dalla Enciclopedia d'Arte Biennale
anno 1987 - 88
Victor
Il
Pittore. L’
Ho assistito a dar l’assalto alla barricata della pittura. ora ci pare
giusto dire che sta affiorando un vero pittore. Ciò che conta è il gustare la visione di un Arte oltre
l’Arte. Al di là dei tempi.
Proposizioni teoriche, che l’artista
neppure tenta di nascondere dietro ad un facile e anemico velario di
un’etichetta purchè sia. Il
nostro Rainieri.
affonda in profondità, i suoi mezzi in quel terreno dalla superficie
ormai sterile, partendo da una linea, solo apparentemente piatta, disegni
dagli effetti puramente scenografici; ma quando su quelle superfici
vibratili depone cose e figure avvolte nel proprio colore, quel colore
medesimo pare ricevere, per effetto magico, un impulso vitale autonomo,
mutevole, al punto che il soggetto rappresentato sulle sue tele (complice
la luce del momento) ne reinventa la lettura come il guardare dentro un
caleidoscopio, creando risultati di lettura sempre nuovi.
Nel combusto stesso di quanto vi è di figurativo e di informale, reca di
per se un calore esistenziale, direi carnale.
Ma il punto è un altro ed è il
mistero di quella luce bianca che ti ghermisce, ti perseguita e suscita in
te vertigini di abissi senza fondo e qui il disagio si fa addirittura
fisico, finchè… scopri entusiasta la felice intuizione di base da parte
dell'artista che è quella di servirsi della luce.
Luce, che ha il privilegio consentito a pochi elementi di trasformarsi
in continuazione. Elemento che scava, attenua, intensifica i colori e
illumina il soggetto con aspetti poetici ed inattesi, in una parola
ribalta quello che era l’originale ordine compositivo, estraendone una
nuova, e quindi un’altra ancora, pur restando in fondo sempre la
medesima. Secondo me tutto ciò sfugge perfino alla tensione creativa del
suo autore e a tradirlo fu un luccichio strano di stupore che colsi in
flagrante nel suo sguardo, mentre osservava la sua ultima opera, (Donna
alla finestra) come se quell'opera non fosse opera sua, ma di un altro, di
un nessuno o di un mago.
( Ass. Cult. U. Zappavigna )
Salsomaggiore
Terme , lì 10.02. 1987
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